Il nostro ragionare su questioni morali si traduce in azioni grazie a meccanismi di autoregolazione attraverso i quali l’essere umano è in grado sia di “astenersi da comportamenti disumani sia nel potere di comportarsi umanamente” (Bandura, 1999, pag. 193). Nel corso del nostro interagire con gli altri (socializzazione) vengono costruiti gli standard morali che, una volta formati, servono come guide per l’azione. Grazie a questi standard le persone regoleranno le loro azioni in base alle conseguenze di tali azioni che le persone stesse saranno in grado di prevedere. Si comporteranno quindi in modo di poter avere soddisfazione dalle loro azioni mentre si asterranno dal mettere in atto comportamenti che violano gli standard morali per evitare di sentirsi in colpa, di vergognarsi, di essere sanzionati dalla società.
Esiste però un insieme di meccanismi attraverso i quali questi “standard” morali, queste “norme morali”, possono essere svincolate dalla condotta trasgressiva ignorando i vincoli autoimposti dal nostro sistema di autoregolazione (Bandura et al., 1996).
Un modo per ottenere la disattivazione dei controlli morali interni è quello di esternalizzare la responsabilità della propria trasgressione per neutralizzare la propria vergogna: ovvero la persona che ha commesso il torto manifesta una mancanza di atteggiamenti di auto-condanna ma utilizza però la negazione o la deroga di responsabilità e/o lo spostamento della colpa sulla vittima stessa per ridurre la minaccia alla propria autostima conseguente alla propria azione sbagliata (Hall, Fincham, 2005). Immaginiamo, ad esempio, un uomo che abbia tradito sua moglie durante una festa organizzata dai colleghi del suo reparto. Egli può sentire di non essersi comportato in modo corretto, però può anche pensare che si è trattato solo di un episodio (deroga) e che non è così grave (negazione); cercherà quindi di minimizzare il danno. D’altra parte può anche pensare che questo non sarebbe successo se sua moglie, dopo la nascita del loro figlio, non si fosse esclusivamente concentrata sul bambino lasciandolo in disparte; cercherà quindi di spostare la colpa sulla vittima, sua moglie.
Una seconda modalità consiste nel modificare i propri atteggiamenti (Chaiken 1980, 1987). Per modificare gli atteggiamenti possiamo esaminare attentamente le informazioni a disposizione, oppure utilizzate regole decisionali pratiche (modalità euristica). Le euristiche rappresentano delle scorciatoie del pensiero, strategie di risparmio di energie cognitive (come l’attenzione) e vengono usate quando la persona non ha il tempo o la motivazione necessarie ad un’elaborazione sistematica delle informazioni. L’elaborazione sistematica richiede infatti motivazione e si attiva quando siamo tenuti a rendere conto delle nostre scelte o ci preoccupiamo di prendere la decisione giusta. L’assunzione della responsabilità del torto commesso e del danno inferto a sé e/o all’altro può rappresentare la motivazione per un’elaborazione sistematica della trasgressione mentre, al contrario, la motivazione difensiva è la modalità per la quale le persone, motivate dalla difesa, elaboreranno in modo positivo quei segnali euristici che sostengano le loro preoccupazioni difensive. Questo concetto può apparire contorto ma, tornando all’esempio dell’uomo che ha tradito sua moglie, immaginiamo che il suo tradimento venga scoperto e sua moglie, ferita e arrabbiata, racconti tutto alla famiglia, compresi i suoi genitori ed i suoceri. Nella riunione che ne segue, le coppie di genitori e suoceri, esperti e navigati nell’arte del matrimonio, da una parte sostengono la necessità di comportarsi adeguatamente in ogni occasione e dall’altra evidenzino come in certe festicciole ci siano sempre delle donne che non vedono l’ora di divertirsi andando oltre il lecito e trascinando con sé uomini più vulnerabili. L’uomo, spinto dalla motivazione difensiva, si convince immediatamente che questa è la lettura giusta dell’evento, la condivide in pieno e si sente rinfrancato, mentre è più critico con la visione del comportamento adeguato ad ogni costo e ne ricerca falle, eccezioni e riscontri.
Un terzo meccanismo (dissonanza cognitiva, Festinger, 1957) descrive il bisogno delle persone di mantenere la coerenza tra le proprie cognizioni (opinioni, credenze, valori) e il proprio comportamento. La dissonanza percepita è forte quando compiamo un’azione che minaccia l’immagine che abbiamo di noi stessi e l’incoerenza è tra ciò che pensiamo di essere ed il modo in cui ci comportiamo. Se l’uomo del nostro esempio crede che tradire sua moglie sia scorretto ma continua a tradirla, emergerà una dissonanza tra la sua cognizione (“tradire mia moglie è scorretto”) ed il suo comportamento (continuare a tradire) che susciterà nella persona un senso di disagio ed il conseguente desiderio di ristabilire la coerenza. Per rimuovere il disagio e ripristinare la coerenza, la persona potrà modificare il comportamento (smettere di tradire la moglie), giustificare il proprio comportamento modificando la cognizione (“non tutti i matrimoni in cui si sono verificati tradimenti hanno avuto dei problemi dopo”) oppure giustificare il proprio comportamento mediante l’aggiunta di nuove cognizioni (“una scappatella ogni tanto da più sapore al matrimonio”, “la scappatella fornisce la possibilità di capire quanto è importante mia moglie per me”, ecc.).
A seguito di una trasgressione potremmo trovarci di fronte alla possibilità di scoprire di non essere ciò che pensavamo di essere, di esserci comportati in modo contrario alle nostre convinzioni e valori. Di fronte a tale eventualità spiacevole il trasgressore può adottare strategie di evitamento (sia dell’evento che di persone e situazioni associate all’evento) ma egli saprà sempre, più o meno consapevolmente, che avrebbe dovuto comportarsi in modo differente; questo senso di dissonanza potrebbe condurlo nel tempo ad allontanarsi da quelle comunità di cui fa parte o ad abbandonare i valori sottostanti che sono stati violati.
BIBLIOGRAFIA
Bandura, A. (1999). Moral disengagement and the perpetration of inhumanities. Personality and Social Psychology Review, 3(3), 193-209.
Bandura, A., Barbaranelli, C., Caprara, G. V., Pastorelli C., (1996). Mechanism of Moral Disengagement in the Exercise of Moral Agency. Journal of Personality and Social Psychology, 71(2), 364-374.
Chaiken, S., (1980). Euristic versus systematic information processing and the use of source versus message cues in persuasion. Journal of Personality and Social Psychology, 39, 752-766.
Chaiken, S., (1987). The Euristic Model of Persuasion. In M.P.Zanna, J.M. Olson, C.P. Herman (Eds.), Social Influence: The Ontario Symposium (Vol. 5, 3-39), Hillsdale, NJ: Erlbaum.
Festinger, L. (1957). A theory of cognitive dissonance. Stanford, CA: Stanford University Press.
Hall, J. H., & Fincham, F. D. (2005). Self-forgiveness: The stepchild of forgiveness research. Journal of Social and Clinical Psychology, 24, 621–637.