Mindfulness, Mente E Cervello: Come Migliora La Qualita’ Della Vita Attraverso La Pratica Della Consapevolezza

Mindfulness, Mente E Cervello: Come Migliora La Qualita’ Della Vita Attraverso La Pratica Della Consapevolezza

Il termine mindfulness deriva dalla parola “Sati” in lingua Pali. Sati fa riferimento a uno stato caratterizzato da “presenza mentale” in cui i fenomeni interni vengono osservati ma non reificati e si fa distinzione tra i fenomeni e le proprie proiezioni e distorsioni mentali (Rainone A., 2012). La parola Sati rimanda anche al verbo Sarati che vuol dire “ricordare”. Lo sviluppo della mindfulness o Sati come “presenza mentale” e come “ricordarsi”, porta all’aumento della consapevolezza delle proprie intenzioni, emozioni, pensieri, parole e azioni e delle conseguenze che possono avere su di sé e sugli altri. In questo modo, la persona può raggiungere una maggiore chiarezza riguardo a ciò che deve essere fatto (ciò che è salutare) e a ciò che non dovrebbe essere più fatto (pensieri e azioni non salutari) e tale discernimento è compito della saggezza (prajna). L’interpretazione moderna in chiave clinica introdotta da Jon Kabat-Zinn descrive la mindfulness come la pratica meditativa di “prestare attenzione in un particolar modo; intenzionalmente, sul momento presente e in modo non giudicante” (Kabat-Zinn J., 1994, pag.16). Quindi la componente centrale della mindfulness, come di ogni altra pratica meditativa, è incrementare la regolazione volontaria dell’attenzione. Ma a differenza della meditazione tradizionale, che prevede di prestare attenzione per un periodo prolungato ad un soggetto o oggetto (come il respiro), nella meditazione mindfulness si prevede una forma di attenzione a ogni nuovo contenuto che entra nella sfera della coscienza, riservando ad ognuno di essi un atteggiamento di apertura curiosa ma distaccata, defuso e non giudicante.

Secondo l’approccio cognitivista, la mindfulness rappresenta quindi una sorta di “consapevolezza metacognitiva”, ovvero un processo attraverso il quale i pensieri, le emozioni e le sensazioni somatiche sono vissuti in maniera decentrata. Tale tipo di consapevolezza non corrisponde alla “conoscenza metacognitiva”, ovvero alla capacità di riflettere criticamente sui propri stati mentali (Rainone A., 2012). Bensì la mindfulness come consapevolezza metacognitiva corrisponde a una modalità di relazione con i propri pensieri, emozioni e sensazioni del momento caratterizzata dal decentramento e dalla disidentificazione, per cui la persona non vive i propri stati mentali come “fatti”. Ad esempio, una persona decentrata potrebbe dire “sto pensando di sentirmi depresso in questo momento” invece di “sono depresso”.

Il decentramento è focalizzato sul presente ed implica l’assunzione di una posizione di accettazione non giudicante nei confronti di pensieri e sentimenti (Fresco D.M. et al., 2007). La capacità di assumere tale posizione è strettamente legata alla regolazione dell’attivazione emozionale e alla capacità nel distinguere tra qualità oggettive della realtà ed attribuzione, alla realtà stessa, di qualità che sono “pensate” e, quindi, appartenenti al dominio della soggettività. Mindfulness e decentramento sono processi strettamente interconnessi e fondamentali per quegli interventi basati sull’accettazione. Entrambi i processi sono responsabili dei benefici che vengono apportati da un training di mindfulness, benefici che portano alla riduzione dei sintomi e all’aumento del benessere, confermandoli come elementi che contribuiscono ad un sano funzionamento psicologico. Tale funzionamento adattivo si basa su una concettualizzazione delle emozioni che evidenzi la loro funzionalità e permetta l’uso flessibile di strategie che siano in grado di modulare l’intensità o la durata delle emozioni invece che eliminarle, con la disponibilità a percepire le emozioni negative considerandole parte del quotidiano svolgersi della vita (Sauer & Baer, 2012). Infatti, alla base della disregolazione emotiva c’è la tendenza ad interpretare alcune esperienze emotive come negative e dannose, con la conseguente convinzione che sia necessario evitarle od eliminarle, piuttosto che come un’esperienza normale con una fondamentale funzione adattiva. Questa interpretazione erronea delle emozioni causa un’intensificazione dello stato emotivo ed una disregolazione dello stesso: i tentativi di sopprimere l’ansia, ad esempio, possono attivare emozioni come rabbia o vergogna oppure incrementare l’ansia stessa (Iani & Didonna, 2017).

Un aspetto fondamentale della mindfulness è l’accettazione non giudicante dei pensieri e delle emozioni. Attraverso questo atteggiamento di non giudizio e di non identificazione con i contenuti della mente è possibile per il praticante ottenere la distanza necessaria con l’emozione esperita che può così essere accolta pienamente senza reazioni (Iani & Didonna, 2017). Questo spazio consente al praticante di osservare e descrivere le emozioni senza dover necessariamente agire su di esse e ciò favorisce una regolazione emotiva efficace (Iani & Didonna, 2017). Una regolazione emotiva adattiva associata alla pratica mindfulness comporta una ridotta intensità del distress, una ridotta elaborazione autoreferenziale negativa nonché un potenziamento delle capacità di impegnarsi in comportamenti diretti all’obiettivo (Roemer L. et al., 2015).

Tale capacità di impegnarsi in “comportamenti diretti all’obiettivo” è strettamente connessa all’attenzione focalizzata. Infatti, l’abilità di prestare attenzione in modo focalizzato ma non intenzionale può, secondo il senso comune, non comportare grosse difficoltà nella sua applicazione. In realtà, già da circa vent’anni studi di neuroscienze affermano che il nostro cervello ha una tendenza a vagare, sganciando l’attenzione dalla percezione presente senza un’intenzione chiaramente definita (Gusnard & Raichle, 2001). Nella letteratura internazionale questo fenomeno viene denominato Mind Wandering – MW (vagabondaggio mentale) e sembra correlato all’azione di una estesa e complessa rete cerebrale, la cosiddetta Default Mode Network – DMN. Il MW è un processo di pensiero disaccoppiato dal compito attuale o dall’ambiente esterno, che sembra essere invece mediato da un’altra articolata rete di centri e vie nervose nel cervello, la Task-Positive-Network – TPN. Gli studi hanno suggerito che la DMN è attiva durante il MW, il che è spesso sperimentato in modo intermittente durante compiti di attenzione prolungata. Al contrario, si pensa che la rete TPN serva a varie forme di attenzione (Hasenkamp et al., 2012). Nel 2020 uno studio ha rilevato che i meditatori, rispetto a coloro che non praticano la mindfulness, mostrano un controllo superiore delle funzioni esecutive e minori meccanismi di risposta automatizzata, nonché una riduzione del mind wondering. Secondo le evidenze di tale studio la pratica della mindfulness riduce quindi l’attivazione del default mode del cervello nell’individuazione dei problemi e nella ricerca delle soluzioni (Patel A. et al., 2020). Inoltre, uno studio meno recente su meditatori esperti ha dimostrato, attraverso risonanza magnetica e magnetica funzionale, che avvengono delle modificazioni stabili nel loro sistema nervoso con la conseguenza di una maggiore plasticità cerebrale. In tale studio sono stati indagati i meccanismi neurali alla base del miglioramento dei sintomi del Disturbo d’Ansia Generalizzato – GAD – a seguito di un intervento di riduzione dello stress basata sulla consapevolezza, confrontato con un programma relativo ad un intervento di controllo. Durante le sessioni di questo intervento, la consapevolezza è stata allenata attraverso la meditazione seduta e camminata, esercizi di yoga e il body scan, in cui l’attenzione è sequenzialmente diretta a tutti i distretti del corpo. I partecipanti hanno ricevuto anche una psico-educazione allo stress. Oltre alle sessioni di gruppo, i partecipanti sono stati istruiti a praticare esercizi di consapevolezza a casa con l’ausilio di un’audio-registrazione. E’ stato loro insegnato a praticare la consapevolezza anche nelle attività quotidiane, come mangiare, lavare i piatti, fare la doccia, ecc., per facilitare il trasferimento della consapevolezza nella vita quotidiana. Gli Autori hanno riscontrato un aumento della connettività tra l’amigdala e le diverse regioni della corteccia prefrontale nei pazienti con GAD dopo il trattamento basato sulla mindfulness rispetto sia ai pazienti del gruppo con diverso trattamento, sia a quelli del gruppo di controllo (Hölzel B. K., et al., 2013).

 

BIBLIOGRAFIA

Baer R.A., Come funziona la mindfulness, R.Cortina Editore, 2012

 

Feruglio S., «The Impact of Mindfulness Meditation on the Wandering Mind: a Systematic Review» Neuroscience and Biobehavioral Reviews, vol. 131, pp. 313-330, 2021

 

Fresco D.M. et al., Initial Psychometric Properties of the Experiences Questionnaire: Validation of a Self-Report Measure of Decentering, 2007, Behavior Therapy, 38, 3, 234-246

 

Hasenkamp et al., 2012, Mind wandering and attention during focused meditation: A fine-grained temporal analysis of fluctuating cognitive states, NeuroImage

 

Hölzel B. K., Hoge E.A., Greve D.N., Gard T., Creswell J. D., Brown K.W., Feldman Barrett L., Schwartz C., Vaitl D., Lazar S.W., Neural mechanisms of symptom improvements in generalized anxiety disorder following mindfulness training, NeuroImage: Clinical 2 (2013) 448–458

 

Iani, L., Didonna, F., 2017, Mindfulness e benessere psicologico: il ruolo della regolazione delle emozioni. Giornale Italiano di Psicologia, 2, 317-322

 

Kabat-Zinn, J. Wherever you go, there you are: Mindfulness, New York (NY), Hyperion, 1994

 

Rainone A., La Mindfulness. Il non fare, l’accettare e il fare consapevole, Cognitivismo Clinico, 2012, 9,2, 135-150

 

Roemer L.et al., Mindfulness and Emotion Regulation, COPSYC, 2015

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